Crisi climatica: il nuovo scenario globale dopo l’uscita degli Stati Uniti dal Green Deal
La crisi climatica è una delle sfide più urgenti del nostro tempo, ma le risposte globali sembrano avere visioni sempre più discordanti. Mentre gli Stati Uniti di Trump scelgono i combustibili fossili, la Cina accelera sulla transizione verde, puntando ad una leadership mondiale nelle rinnovabili. E l’Europa, come si colloca in questo panorama?
Il 2024 è stato un anno che ha drammaticamente confermato la gravità della crisi climatica. Le temperature globali hanno toccato livelli mai visti prima, incendi devastanti hanno colpito la California – aggravati dalle condizioni di siccità e caldo estremo – e le emissioni di CO2 hanno superato le previsioni del 26%, seguendo una traiettoria definita dagli esperti "incompatibile" con gli obiettivi di contenere il riscaldamento entro i 1,5°C. Di fronte a questi segnali allarmanti, la collaborazione internazionale si conferma l'unica strada percorribile per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Gli Stati Uniti e la Cina, i due maggiori emettitori di gas serra al mondo, sono i protagonisti imprescindibili di questa sfida globale. Negli ultimi anni, la Cina ha investito massicciamente nelle energie rinnovabili, diventando leader nella produzione di pannelli solari, turbine eoliche e batterie al litio. Gli Stati Uniti, invece, hanno vissuto un'alternanza politica che ha profondamente influenzato il loro ruolo nei negoziati climatici. Durante la presidenza Trump (2017-2021), gli Stati Uniti si sono ritirati dall'Accordo di Parigi, adottando una politica fortemente basata sui combustibili fossili. L'amministrazione Biden, successivamente, ha cercato di riportare il Paese al centro della lotta climatica, pur con alcune contraddizioni legate all'espansione delle trivellazioni.
La recente rielezione di Donald Trump nel novembre 2024 ha segnato un nuovo punto di svolta. Trump ha ribadito l'intenzione di abbandonare nuovamente l'Accordo di Parigi e ha annunciato una strategia energetica che punta sul "petrolio e gas americani", mettendo in secondo piano le energie rinnovabili. Le prime mosse della sua amministrazione includono il rilancio delle trivellazioni in Alaska, la fine della moratoria sulle esportazioni di gas e la dichiarazione di una "emergenza energetica". Queste scelte non solo rischiano di compromettere gli obiettivi climatici globali, ma potrebbero anche incoraggiare altri Paesi, come l'Argentina, a seguire un percorso simile, minando gli sforzi collettivi finora compiuti.
Mentre gli Stati Uniti sembrano orientarsi verso un approccio che privilegia i combustibili fossili, la Cina continua a consolidare il proprio ruolo di leader nella transizione ecologica. Nel 2024, il Paese ha raggiunto con sei anni di anticipo l'obiettivo di installare 1,2 terawatt di capacità eolica e solare previsto per il 2030. La produzione di energia rinnovabile ha registrato incrementi record: +45,2% per il solare e +18% per l'eolico. Inoltre, la Cina domina il mercato globale dei veicoli elettrici e delle batterie, rafforzando la sua leadership tecnologica ed economica. Questo posizionamento strategico non è solo una risposta alla crisi climatica, ma anche un'opportunità per rafforzare la sua influenza geopolitica.
Alla COP29 di Baku, la Cina ha iniziato a rivendicare un ruolo più centrale nei negoziati climatici, evidenziando i propri investimenti di oltre 24 miliardi di dollari in azioni per il clima dal 2016 e presentandosi come partner collaborativo per i Paesi in via di sviluppo. Questo atteggiamento segna un cambiamento rispetto al passato, quando le sue mosse erano strettamente legate a quelle degli Stati Uniti. Ora, con Trump alla guida di una politica isolazionista e centrata sui fossili, la Cina potrebbe emergere come il principale promotore della lotta al cambiamento climatico, in collaborazione con l'Europa.
La COP30, prevista per novembre 2025 a Belem, in Brasile, sarà un momento decisivo. Anche se gli Stati Uniti parteciperanno formalmente, il loro ruolo potrebbe essere marginale a causa del ritiro dall'Accordo di Parigi. Tuttavia, all'interno degli Stati Uniti, la green economy continua a crescere. Numerose aziende private, governi locali e investitori stanno spingendo per un futuro più sostenibile, dimostrando che la lotta al cambiamento climatico non è esclusivamente nelle mani del governo federale. Gli esperti, come Laurence Tubiana (nota economista francese), sottolineano l'importanza di riformare il processo delle COP per renderlo più efficace e inclusivo. La crisi climatica richiede non solo impegni concreti da parte dei governi, ma anche il coinvolgimento delle comunità più colpite, che devono essere messe al centro delle decisioni globali.
Conclusioni
Mentre gli Stati Uniti di Trump sembrano allontanarsi dagli impegni internazionali, la Cina e l'Europa potrebbero guidare un nuovo fronte multilaterale per il clima. La sfida rimane quella di trovare soluzioni condivise per un futuro sostenibile, prima che sia troppo tardi.